Lolita di Vladimir Nabokov
- Cat
- Aug 5, 2018
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Allora, innanzitutto vorrei scusarmi coi miei (anche se pochi) lettori ed amici se non aggiorno e sparisco spesso per periodi non brevi, ma purtroppo faccio piuttosto fatica a scrivere di qualcosa se non ne sento l’urgenza o perlomeno il piacere.
Detto ciò, ho finito proprio un tre ore fa “Lolita”di Vladimir Nabokov e mi piacerebbe parlarvene un po’.
E’ un romanzo che fin da bambina pre-adolescente mi ha sempre incuriosita. Avevo visto l’inizio del film, a undici o dodici anni, quello del 1996 e non ahimé quello di Kubrick. Non ricordo più come né quando né perché ma sapevo che il film era stato tratto da un libro. Al liceo, in quarto o in quinto, il Professore di italiano, in una delle sue frequentissime digressioni dalla lezione, ne parlò snobbandolo e ridicolizzandolo come di una storia di pedofilia che i più scambiano per una storia d’amore.
Me ne ricordo così bene perché la cosa mi affascinava. Credo che mi affascinasse perché temo di non aver mai avuto il pregiudizio/valore radicale ed irremovibile che solitamente, e anche giustamente, si ha su questi temi. Ovvio che i termini “pedofilia”, “pedofilo” e “stupro” e “abuso” mi facevano rabbrividire e mi innoridivano. Eppure, da quei pochi minuti di film che avevo intravisto non mi sembrava solo e propriamente la storia di un pedofilo, e il fatto che godesse della fama di essere una “storia d’amore” sembrava confermare quella mia impressione.
Sfortunatamente durante tutta la mia adolescenza non sono stata una lettrice costante. Leggevo di tanto in tanto, un po’ per caso e un po’ perché in certi periodi il richiamo alla lettura era irresistibile, ma una volta soddisfatta la voglia e finito un libro tornavo, imperturbabile, per mesi e mesi, alle faccende più terra terra di una liceale che si stiracchiava sul letto tra la scuola e le uscite con le amiche. E così, sono riuscita a leggere “Lolita” solo adesso.
Il punto di vista del mio allora professore di Italiano penso sia condiviso da molti, ma molti devono essere anche gli estimatori di Nabokov e di questo suo romanzo, se ancora ad oggi viene considerato un capolavoro moderno. Ecco, tra chi lo mette tra lo scaffale dei capolavori del secolo scorso e chi lo stigmatizza come la storia di un maniaco, io mi sento di affermare, con assoluta certezza, che si tratta senza ombra di dubbio e prima di ogni cosa, di un’opera di valore.
I motivi sono molti.
Partiamo dal tema. Sicuramente controverso, delicato, ancora oggi tabù (ma non nell'antichità né nel Medioevo), che si scontra con la morale, rigida e ferrea. Solo per questo, cioè per il coraggio che ha avuto Vladimir Nabokov ad affrontare questo argomento, bisognerebbe applaudirlo.
L’applauso poi sarebbe ancora più forte e più lungo se si considera il come l’abbia fatto. Scegliendo il punto di vista del malato, pazzo, mostro, colpevole, cattivo. Per quanto possa suonare ovvia, secondo la mia mentalità, questa scelta (nessun capolavoro e quindi nessuna opera di valore può mai avere come protagonista la vittima), è indubbiamente difficile in pratica. Non è roba da poco immergersi nella psiche di un individuo psicologicamente malato e restituircela sotto forma di opera letteraria con la sua logica e le sue contraddizioni e coerenze interne, in un modo che sia per noi, almeno parzialmente, comprensibile (per chi ha una certa sensibilità, s’intende).
E’ secondo questa psiche e la sua logica che si srotola la trama, -e qua ci starebbe un altro applauso più forte e caloroso del precedente. Passiamo da un volgare pedofilo arrapato e represso che rifiuta la sua malattia ad un pedofilo consapevole che ha accettato ed interiorizzato la sua malattia e che almeno con se stesso, nella privacy della riflessione interiore, non cerca più di contrastare. Passiamo da un semplice manipolatore con pochi scrupoli ad un mostro che contempla l’idea dell’omicidio e poi arriva ad approfittare di una bambina e poi fantastica addirittura di violentare le future progenie del suo stesso sangue frutto dell’unione con questa. Passiamo da tutto ciò ad un uomo innamorato perso che poi diventa disperato e finisce assassino.
Un altro motivo per cui per me è un opera di valore sono i personaggi. Due. Edgar Humbert Humbert o H.H. e Dolers Haze o Lolita. Il personaggio di Humbert è l’essenza del romanzo stesso. Credo siano tra di loro imprescendibiili. Siccome ve ne ho parlato già sopra e indirettamente continuerò a parlare dell’opera, credo sia superfluo aggiungere altro. Su Lolita, invece, spenderò qui quattro paroline. Fino all’ultimo appare agli occhi del lettore come una semplice ragazzetta maliziosa, incosciente, capricciosa, difficile, indifferente ma pur sempre e fino alla fine innocente. Solo poche pagine prima della conclusione il suo accanito adoratore e innamorato ci rivelerà delle sfumatore rivelatorie. La sua personalità verrà quindi arricchita e sovrapposta a quella di una giovanissima ragazza in realtà introversa, che senza armi adeguate per difendersi dalle realtà circostanziali che si trova ad affrontare, soffoca il trauma (o i ripetuti traumi?) e manifesta, probabilmente inconsapevole, questa frustrazione attraverso il maltrattamento di altre sue compagne, le difficoltà a scuola, la noia. E ancora, quando Dolores si sottrae definitivamente dall’essere la Lolita di Humbert Humbert, dalla crisalide dei due anni dalla fuga dal suo carceriere ne esce una ragazza sciatta, dal destino si direbbe segnato, non rancorosa e capace di perdonare e di andare avanti ma pur sempre irraggiungibile per la passione del suo carnefice, pur essendo ora consapevole dell’amore ricevuto (in cambio però, forse, di qualcosa di più prezioso). Si tratta quindi di personaggi non amabili, non buoni, di certo non buoni modelli e che non regalano alcuna rassicurazione al lettore in cerca di superficiale svago e relax. Al contrario sono detestabili e tangibili come noi umani. Gli altri personaggi sono comparse, figure smorte, non contano, né per il nostro narratore malato né per noi.
Sicuramente non è un libro da cui si possa ricavare un insegnamento, o meglio un insegnamento coerente e in accordo con la Morale, così come si può facilmente fare in certe opere in opera per conto di ciò che il buon Vladimir, nella Postfazione, definisce la “Letteratura delle idee”. E io, modestamente, per quel che conta, non posso essere più d’accordo con lui quando dice che l’unica cosa ad interessargli è l’Estetica dell’Arte (che fonda i suoi principi sulla curiosità, la tenerezza, la bontà e l’estasi). Ammetto che questa mia visione delle cose risente dalle lezioni di Estetica di Adorno che ho seguito un paio d’anni fa all’università, ma ad oggi mi sembra davvero impensabile che certa gente che si considera o che viene considerata “artista” si preoccupi e ponga l’accento sul significato anziché sulla forma. Le mani dell’artista possono toccare solo la forma e non il suo contenuto e d’altra parte è proprio la forma che decide come viene trasmesso il contenuto e quindi il significato. In definitiva è la forma a stabilire se un’opera è un’opera di valore o no, e se è un capolavoro.
Certe accuse di pornografia, pedofilia, di aver superato il limite massimo della decenza erotica poi, credo che possiamo scansarle citando lo stesso Nabokov, che sempre nella già menzionata Postfazione (nella illuminante pagina 392 dell’edizione Adelphi) afferma:
«Nessuno scrittore, in un paese libero, dovrebbe essere costretto a preoccuparsi dell’esatta linea di demarcazione tra il sensuale e l’erotico; è una cosa assurda; io posso ammirare, ma non emulare, l’occhio di chi mette in posa le belle, giovani mammifere che compaiono sulle riviste, scollate quanto basta per far contento l’intenditore, e accollate quanto basta per non scontentare il censore».
Ma ciò che mi preme qui scrivere, ed è la ragione per cui sto scrivendo questa specie di recensione/analisi/opinione e che mi ha definitivamente convinta che non sia solo la storia di un malato e di un mostro come il lettore superficiale o ignorante che si è fermato a leggere solo la prima parte (se mi fossi fermata anche io avrei seriamente rischiato di rientrare tra questi) o il lettore imbottito di pregiudizi della Santa Morale crede che sia, mi riporta al come (il secondo motivo che spiega perché è un’opera che ha valore). Nel raccontarci la storia c’è un passaggio progressivo, che di preciso non so quando ha inizio, di quando nella malattia germoglia l’amore. Ed è un amore assoluto, generoso nel suo malsano egoismo e crudeltà, possessivo, patetico e colmo di tenerezza, che verso la fine sembra aver oltrepassato il confine ultimo della malattia. Sì, patetico. Forse proprio per questo smuove il pathos e merita almeno la nostra compassione. Solo un’opera di valore può fare tutto questo. Forse un capolavoro.
(Non curante delle perifrasi talvolta irritibilmente infinite più delle mie e delle, sempre talvolta, frustranti citazioni e collegamenti troppo ermetici ad opere e artisti sconosciuti per un’ignorante come me) Voto: 5/5.
Alcune foto di uno dei (per ora) due adorati volumi in mio possesso che non corrisponde a quello mostrato nel brevissimo video a inizio pagina:
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